57. HOMO FABER

Murale dipinto da Marco Adami nel 2015

Marco Adami è nato a Trento nel 1972 e, oltre ad essere pittore, è fotografo e grafico pubblicitario ed è attivo in campo cinematografico soprattutto per gli aspetti che riguardano la realizzazione delle scenografie dei film.

Proprio come fosse lo sviluppo di un piano sequenza cinematografico Adami affronta il tema dell’evoluzione della nostra società che si adatta ai cambiamenti senza snaturare le proprie origini.

Attraverso la storia di una famiglia di falegnami, ci confrontiamo con un mondo che in pochi decenni ha completamente stravolto il concetto di produzione per il consumo locale per confrontarsi con un concetto di globalità, che impone scelte mai considerate in precedenza.

Al primo approccio, il murale ci appare composto dalla raffigurazione di situazioni apparentemente accostate in maniera caotica ma poi, gradatamente, il filo conduttore diventa sempre più evidente ed il significato del dipinto alla fine appare in tutta la sua forza.

Guido Bianchi, il capostipite della famiglia, lavora prevalentemente per le necessità del paese, mentre i figli ampliano i propri orizzonti e, anche quando svolgono il mestiere del padre, lo adeguano alle nuove necessità, come si vede dal cassone a molle per un mobilio moderno appena costruito o dal furgone che percorre una lunga strada per la consegna di ciò che l’artigiano ha prodotto.
Nonostante stiano affrontando situazioni non sperimentate, i loro gesti trasmettono sicurezza e consapevolezza, la calma e la serenità non li abbandona, come ci fa intuire il cagnolino che dorme vicino ai piedi del falegname ritratto di spalle e il bambino che gioca.

Marco Adami ambienta la narrazione in un grattacielo in costruzione, con una prospettiva che incute un senso di vertigine e di insicurezza (vedi il dettaglio della ruota in bilico) che non scalfisce la tranquillità della famiglia Bianchi, intenta al proprio lavoro.

Questo perchè, pur se le circostanze cambiano, la loro determinazione ha basi ben solide, ed è simboleggiata da San Giuseppe, patrono dei falegnami, che veglia su di loro.

Le situazioni si evolvono ma la capacità di affrontarle è una dote acquisita, grazie ad un carattere temprato dal saper di dover lottare per le proprie scelte e la propria libertà di pensiero, bene irrinunciabile, anche quando le difficoltà restano in agguato (vedi l’operaio che sta segando il pavimento).

Sono tre gli episodi storici che ci spiegano come questa capacità di affrontare le difficoltà sia stata acquisita nel corso dei secoli dagli abitanti della valle: il primo riguarda la battaglia di Rusecco del 1508 con la vittoria delle truppe di Bartolomeo d’Alviano sull’esercito di Massimiliano I d’Austria (2.500 uomini contro un esercito di 5.000 soldati), poco più in alto vediamo gli uomini di Pier Fortunato Calvi che nel 1848 alimentano i moti rivoluzionari del Cadore armati solo di forconi e di sassi e, proprio al centro del quadro, la Resistenza composta da uomini e donne coraggiosi che combatte l’esercito nazista, militarmente ben attrezzato.

L’emblema della continuità tra passato e presente è rappresentato dal bambino seduto sulla trave che grazie alla carrucola posta a destra raggiungerà la sua dimensione, portando con sé la sedimentazione del passato della sua terra.

Il dipinto rispetta molti canoni del Futurismo: i dettagli industriali, gli elementi bellici e la dinamicità sono tutti temi fondamentali di questo movimento artistico.
Mantenendo la sintonia con il messaggio del murale, alcuni episodi sono narrati rivisitando capolavori del passato.
San Giuseppe capovolto ci ricorda “Il Miracolo di San Marco” dipinto da Tintoretto nel 1548, mentre la Battaglia del Cadore ci riporta ai bozzetti di preparazione della tela del Tiziano, distrutta dall’incendio di Palazzo Ducale del 1577.

Una curiosità. Il caccia tedesco raffigurato al centro del quadro esprime la sproporzione di forze tra l’esercito nazista e i partigiani, ma è anche un omaggio a uno dei figli di Guido Bianchi, che, abbandonata l’attività di famiglia, è diventato tenente colonnello dell’aeronautica militare.

Ultima particolarità, nel murale vengono proposti un paio di volte degli aghi. Si riferiscono agli aghi che Guido Bianchi preparava per le donne che cucivano “i scarpet”, calzature di stoffa particolari, altra produzione di pregio di Cibiana. Ma di scarpet ne parleremo ancora, davanti ad altri murales.